martedì 11 agosto 2009

Ogni commento è superfluo lascio solo la citazione, già accennata nel precedente post:



"Un viaggio in Biafra si accompagna a una mai sperimentata condizione dell'animo che assomiglia all'angoscia ma la supera: essa nasce dal conflitto tra l'orrore e il dubbio. Ma come l'orrore appartiene alla sfera dei sentimenti quasi irrazionali e il dubbio invece alle quasi fredde operazioni della ragione, così si può dire che il conflitto si fa più che angoscioso, buio ed esistenziale, e si riduce ai due elementi primi, ragione e sentimento, su cui si fonda la natura stessa dell'uomo.

L'orrore in Biafra si prova fin dal primo giorno, quando si passa da un campo di profughi all'altro, quasi senza accorgersene, e la mente pare dissolversi nella pura registrazione dei fenomeni.

È un sentimento composito, vorticoso e poliforme: innanzitutto orrore visivo, immediato, diretto, elementare e, vorrei aggiungere, animale. Tale è la violenza di ciò che si vede, infatti, che l'uomo cessa per un istante di essere tale, con le caratteristiche che gli sono proprie, di oggettivazio-ne, discernimento e giudizio, e compie per così dire un balzo all'indietro, nei millenni, fino alle sue lontane e basse origini. Poi quando, a poco a poco, la nebbia che avvolge la mente si dirada, quel primo orrore diventa orrore umano: anch' esso diretto, ma già un poco mediato, da esperienze, ricordi, dati personali, insomma da quei molti filtri che formano il carattere individuale. Poi orrore storico, il più mediato e forse il più doloroso di tutti in quanto in esso siamo costretti a riconoscere il fallimento, l'involuzione e forse l'inesistenza stessa di quelle aspirazioni, così tese alla imitazione quando non all'identificazione col divino, che abbiamo creduto accompagnare, o addirittura creare, le diverse successive culture e la storia dell'uomo. E infine orrore un'altra volta immediato e diretto, non più fisico, ma metafisico, che sorge dalla nostra individuale certezza dell'esistenza del male sulla terra. A queste molte forme di orrore corrispondono in uguale misura e con uguale forza altrettante forme di dubbio. Allora la ragione agisce e si pone quei quesiti che appunto si pone la storia.

Di chi è la colpa? Perché si è prodotto tutto ciò? Che cosa si nasconde dietro tanta esibizione di morte? Quali gli strumenti e le forze capaci di arrestarla? E quali infine le responsabilità non soltanto politiche e collettive, ma individuali, personali, che coinvolgono ognuno di noi in questa tragedia?
E naturale che, essendo soli con se stessi e testimoni di un dolore così vasto, le risposte a tali quesiti e i dubbi che ne risorgono siano soltanto personali. Perciò, a questo punto, dirò quali sono stati i miei dubbi, non i dubbi, i miei sospetti e non i sospetti, le mie emozioni ma non le conclusioni.


Il mio dubbio principale nasce da una breve riflessione sui confini dell'Africa nera. Quei confini artificiali, tracciati sulla carta dal colonialismo europeo e non da stati sovrani indigeni, indipendenti e precedentemente esistenti, entro i quali quello stesso colonialismo ha agito da padrone, creando un solo e disumano rapporto di sfruttamento e schiavitù, possono essere considerati reali? Reali, cioè coincidenti con una reale unità interna di quei paesi che li rappresentano, unità etnica, religiosa, culturale, linguistica? Mi sono risposto: no, non possono essere considerati reali perché in Africa nera non convivono ma lottano all'interno di essa molte pseudo-unità geografiche, centinaia e centinaia di gruppi etnici diversi, depositari di culture e religioni che si perdono nella preistoria, tribù che parlano lingue incomprensibili una all'altra e il cui unico e solo mezzo di comunicazione è la lingua del colono. E tuttavia si può dire che l'Africa nera, pur così suddivisa e disunita, possiede oggi come continente una unità storica che nessun altro continente al mondo ha mai avuto la tragedia e al tempo stesso la gloria di possedere: questa unità, questa storia sono il comune dolore della schiavitù.
Ma se la libertà, ottenuta lottando con la forza che scaturisce proprio dal comune dolore e dalla comune schiavitù, non coincide, nella sua prassi reale, nella sua geografia, nella sua politica, con le convenzioni artificiali stabilite dal colonialismo che i paesi di nuova indipendenza africana hanno adottato, che valore assumono nella storia proprio quel dolore e quella lotta? D'altro canto come permettere che l'Africa nera, una volta ottenuta la libertà, si frantumi in un caos di neocolonialismi militaristici e locali, quasi sempre manovrati dall'esterno, ancora una volta dalla stessa Europa, governati da una borghesia minoritaria, più sfruttatrice e cinica dei vecchi padroni?
Questi dubbi, questi interrogativi-iterativi valgono per il Biafra. Ma se ne aggiungono altri, contingenti.


Il capo del Biafra, colonnello Ojukwu, figura sombre, come è stato definito, non chiara e melensa, è veramente innocente e vittima egli stesso della durezza nigeriana come i seimila bambini che muoiono ogni giorno o ne è, a sua volta, cinicamente corresponsabile? Fino a che punto è lecita l'intransigenza totalitaria, su tutti i punti, quando la morte ha raggiunto simili proporzioni? Fino a che punto la secessione del Biafra è spontanea, e cosciente e popolare, nata dal moto centripeto e autodifensivo di un popolo e fino a che punto è lecito sospettare che in questa secessione, in questo piccolo paese la cui geografia coincide con le regioni più ricche di petrolio di tutta la Nigeria, si innestino interessi privati, locali e stranieri? E ancora: come non sospettare con maggior forza di prove che interessi di potere politico camuffati di paternalismo o di ideologia, ma delittuosi, agiscano dietro l'intransigenza del governo federale della Nigeria? Perché quel governo, infinitamente più forte di uomini e di armi non mostra una volta soltanto la sua buona fede e non permette il passaggio, per la via più breve e naturale, il fiume Niger, di quantità massicce, urgentissime e forse risolutive di viveri e medicinali? Perché spara sugli aerei della Caritas Internationalis, gli unici fino a questo momento che abbiano sfidato regole e convenzioni internazionali, i soli che portino soccorsi in Biafra? Questi e altri sono gli interrogativi che mi sono posto, isolatamente annaspando tra il sentimento dell'orrore e la ragione del dubbio. "

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