giovedì 13 agosto 2009

Come vedere DivX, foto e MP3 nel TomTom


Ho trovato come espandere le funzioni di normale un GPS, cosa piuttosto interessante ed utile, bastano pochi passaggi e non dovrebbe dare nessun tipo di problemi. Ancora non ho avuto modo di provare maq lo farò a breve, stando a quello che ho letto è anche abbastanza veloce.
In tutti i TomTom è installato un sistema operativo basato su Linux per gestire le funzioni di GPS, questo permette di installare applicazioni aggiuntive, può essere sfruttato per ascoltare musica in MP3, vedere foto o video, film in DivX ad esempio.
Per fare questo è sufficiente infatti installare un programma come TomPlayer (il software è open source). Si possono cosi vedere pure slideshow di foto sfruttando lo schermo così.
Schematizzo i passaggi che ho letto:

1- Per installare TomPlayer serve il file tomplayer.zip dalla sezione Mobile di Win cd/dvd-rom
(in caso altrimenti da WWW.tomplayer.net con una versione più aggiornata.)
A questo punto va estratto il file in una cartella dell’hard disk

2- Si può utilizzare una scheda di memoria esterna supportata dal GPS per salvare dal computer per salvare nella SD i file e cartelle contenuti nella cartella distrib presente nella directory in cui è stato estratto Tomplayer.

3- Inserire la SD a questo punto nel TomTom e non resta che accenderlo, il software multimediale si avvierà automaticamente.

4- Per riutilizzare il navigatore come GPS basta uscire da TomPlayer, rimuovere la SD e riavviarlo.

martedì 11 agosto 2009

Ogni commento è superfluo lascio solo la citazione, già accennata nel precedente post:



"Un viaggio in Biafra si accompagna a una mai sperimentata condizione dell'animo che assomiglia all'angoscia ma la supera: essa nasce dal conflitto tra l'orrore e il dubbio. Ma come l'orrore appartiene alla sfera dei sentimenti quasi irrazionali e il dubbio invece alle quasi fredde operazioni della ragione, così si può dire che il conflitto si fa più che angoscioso, buio ed esistenziale, e si riduce ai due elementi primi, ragione e sentimento, su cui si fonda la natura stessa dell'uomo.

L'orrore in Biafra si prova fin dal primo giorno, quando si passa da un campo di profughi all'altro, quasi senza accorgersene, e la mente pare dissolversi nella pura registrazione dei fenomeni.

È un sentimento composito, vorticoso e poliforme: innanzitutto orrore visivo, immediato, diretto, elementare e, vorrei aggiungere, animale. Tale è la violenza di ciò che si vede, infatti, che l'uomo cessa per un istante di essere tale, con le caratteristiche che gli sono proprie, di oggettivazio-ne, discernimento e giudizio, e compie per così dire un balzo all'indietro, nei millenni, fino alle sue lontane e basse origini. Poi quando, a poco a poco, la nebbia che avvolge la mente si dirada, quel primo orrore diventa orrore umano: anch' esso diretto, ma già un poco mediato, da esperienze, ricordi, dati personali, insomma da quei molti filtri che formano il carattere individuale. Poi orrore storico, il più mediato e forse il più doloroso di tutti in quanto in esso siamo costretti a riconoscere il fallimento, l'involuzione e forse l'inesistenza stessa di quelle aspirazioni, così tese alla imitazione quando non all'identificazione col divino, che abbiamo creduto accompagnare, o addirittura creare, le diverse successive culture e la storia dell'uomo. E infine orrore un'altra volta immediato e diretto, non più fisico, ma metafisico, che sorge dalla nostra individuale certezza dell'esistenza del male sulla terra. A queste molte forme di orrore corrispondono in uguale misura e con uguale forza altrettante forme di dubbio. Allora la ragione agisce e si pone quei quesiti che appunto si pone la storia.

Di chi è la colpa? Perché si è prodotto tutto ciò? Che cosa si nasconde dietro tanta esibizione di morte? Quali gli strumenti e le forze capaci di arrestarla? E quali infine le responsabilità non soltanto politiche e collettive, ma individuali, personali, che coinvolgono ognuno di noi in questa tragedia?
E naturale che, essendo soli con se stessi e testimoni di un dolore così vasto, le risposte a tali quesiti e i dubbi che ne risorgono siano soltanto personali. Perciò, a questo punto, dirò quali sono stati i miei dubbi, non i dubbi, i miei sospetti e non i sospetti, le mie emozioni ma non le conclusioni.


Il mio dubbio principale nasce da una breve riflessione sui confini dell'Africa nera. Quei confini artificiali, tracciati sulla carta dal colonialismo europeo e non da stati sovrani indigeni, indipendenti e precedentemente esistenti, entro i quali quello stesso colonialismo ha agito da padrone, creando un solo e disumano rapporto di sfruttamento e schiavitù, possono essere considerati reali? Reali, cioè coincidenti con una reale unità interna di quei paesi che li rappresentano, unità etnica, religiosa, culturale, linguistica? Mi sono risposto: no, non possono essere considerati reali perché in Africa nera non convivono ma lottano all'interno di essa molte pseudo-unità geografiche, centinaia e centinaia di gruppi etnici diversi, depositari di culture e religioni che si perdono nella preistoria, tribù che parlano lingue incomprensibili una all'altra e il cui unico e solo mezzo di comunicazione è la lingua del colono. E tuttavia si può dire che l'Africa nera, pur così suddivisa e disunita, possiede oggi come continente una unità storica che nessun altro continente al mondo ha mai avuto la tragedia e al tempo stesso la gloria di possedere: questa unità, questa storia sono il comune dolore della schiavitù.
Ma se la libertà, ottenuta lottando con la forza che scaturisce proprio dal comune dolore e dalla comune schiavitù, non coincide, nella sua prassi reale, nella sua geografia, nella sua politica, con le convenzioni artificiali stabilite dal colonialismo che i paesi di nuova indipendenza africana hanno adottato, che valore assumono nella storia proprio quel dolore e quella lotta? D'altro canto come permettere che l'Africa nera, una volta ottenuta la libertà, si frantumi in un caos di neocolonialismi militaristici e locali, quasi sempre manovrati dall'esterno, ancora una volta dalla stessa Europa, governati da una borghesia minoritaria, più sfruttatrice e cinica dei vecchi padroni?
Questi dubbi, questi interrogativi-iterativi valgono per il Biafra. Ma se ne aggiungono altri, contingenti.


Il capo del Biafra, colonnello Ojukwu, figura sombre, come è stato definito, non chiara e melensa, è veramente innocente e vittima egli stesso della durezza nigeriana come i seimila bambini che muoiono ogni giorno o ne è, a sua volta, cinicamente corresponsabile? Fino a che punto è lecita l'intransigenza totalitaria, su tutti i punti, quando la morte ha raggiunto simili proporzioni? Fino a che punto la secessione del Biafra è spontanea, e cosciente e popolare, nata dal moto centripeto e autodifensivo di un popolo e fino a che punto è lecito sospettare che in questa secessione, in questo piccolo paese la cui geografia coincide con le regioni più ricche di petrolio di tutta la Nigeria, si innestino interessi privati, locali e stranieri? E ancora: come non sospettare con maggior forza di prove che interessi di potere politico camuffati di paternalismo o di ideologia, ma delittuosi, agiscano dietro l'intransigenza del governo federale della Nigeria? Perché quel governo, infinitamente più forte di uomini e di armi non mostra una volta soltanto la sua buona fede e non permette il passaggio, per la via più breve e naturale, il fiume Niger, di quantità massicce, urgentissime e forse risolutive di viveri e medicinali? Perché spara sugli aerei della Caritas Internationalis, gli unici fino a questo momento che abbiano sfidato regole e convenzioni internazionali, i soli che portino soccorsi in Biafra? Questi e altri sono gli interrogativi che mi sono posto, isolatamente annaspando tra il sentimento dell'orrore e la ragione del dubbio. "

lunedì 10 agosto 2009

Sporche storie di guerra

Non ho ancora finito di leggere Guerre Politiche, ma già lo trovo un libro intenso, per la notizia nella sua dinamicità e interesse e la riflessione più profonda e meditatache dovrebbe seguire ad ogni esperienza. Si tratta di una raccolta di reportage di Goffredo Parise, giornalista dell'espresso e poi del corriere della sera, sul Vietnam, Biafra, Laos e Cile. E' stato il primo italiano ad essere andato in Biafra, anche se poi non è stato subito ben accetto per i suoi reportage. Riporto alcuni passi che mi hanno colpito, non so se decontestualizzati abbianolo stesso valore, ma credo ne valga la pena. In poche parole per quanto riguarda il Biafra, si tratta di uno stato sorto e scomparso nell' arco di un anno. Era una regione secessionista centrale della Nigeria, la più ricca di petrolio guarda caso. La secessione fu guidata da Ojukwu, ufficiale di carriera nell'esercito nigeriano, di una delle famifglie più ricche del paese. C'è anche da dire che le due divisioni interne rispecchiavano quella antecedente tra Ibo (i Biafriani) e Hausa, due etnie già in contrasto, probabile coseguenza dei confini artificiosi del colonialismo e di una storia obbligata dall'esterno che non ha mai permesso di superare la miriade di frammentazioni interne al continenete. Comunque si sa che all'origine della secessione cerano gli interesi di potere di Ojukwu, le concessioni sull'estrazione del greggio promesse a potenze straniere. Le vittime così finiscono per essere i civili ignari e impotenti, massacrati dal fronte nigeriano, mentre i rifornimenti di viveri degli aiuti internazionali che passavano tramite questo venivano avvelenati. Poi per Ojukwu la principale risorsa per ottenere risonanza internazionale e far fronte alla sua mancnza di mezzi fu una nuova arma, sconvolgente, lamorte di 6000 biafriani algiorno, di modo da ottenere la risonanza della notizia e l'intervento pronto dell'opinione pubblica. Quelo che rimane speso è l'associazione istintiva e magari inconsapevole: Biafra-fame, ma intanto Ojukwu se ne sta rifugiato con la sua cadillac da qualche parte.
La riflessione è un pò lunga per questo post, la pubblicherò in uno aparte.